Contadini giovani e laureati, l’agricoltura dei “cervelli”

La nuova generazione che si riappropria del lavoro nei campi è molto diversa da quella del passato.

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«È uso comune consigliare a chi è un po’ asino a scuola di andare a zappare la terra. Il mio caso è atipico perché io me la cavavo benino negli studi ma sono andato a lavorare in campagna del tutto consapevolmente. E la mia vita ha preso finalmente una piega positiva». Gianluca Mantovani, 31 anni, lavora per la società agricola Frutta Più ad Altedo, provincia di Bologna. L’azienda, di cui è socio, produce frutta in ogni stagione e gestisce tutta la filiera produttiva dalla raccolta alla vendita. «Io sono un perito meccanico di formazione. Ho lavorato per un po’ alla Minarelli e in altre industrie di pezzi di ricambio di automobili – continua Gianluca –.Dopo aver completato il normale ciclo di studi ho fatto corsi di perfezionamento e di aggiornamento per tenermi al passo con l’avanzamento delle tecnologie. Insomma, tutto in regola. Poi ho pensato che, nonostante tutti questi sforzi, non stavo costruendo niente di mio. E ho cambiato strada». E così è cominciata l’avventura in campagna. Prima un piccolo podere con qualche albero da frutto e vecchi impianti di irrigazione, poi, grazie al piano di sviluppo rurale dell’Emilia Romagna, l’azienda si è allargata fino ad arrivare allo stato attuale. «Quando il lavoro è decollato è entrato anche mio fratello Christian, ingegnere informatico di 38 anni. Anche lui ha lasciato il lavoro che stava facendo con successo per tornare alla terra. Una sorta di richiamo»  conclude scherzando Gianluca.

La nuova generazione che si riappropria del lavoro nei campi è molto diversa da quella del passato: questi giovani hanno studiato, alcuni hanno conseguito persino il dottorato all’università, e hanno un approccio innovativo nella gestione agricola, molto più vicino alle moderne start up. Fabio Bizzarri, toscano di Pistoia, si è inventato un kit per gestire facilmente un orto nel proprio terrazzo di casa. «Da quattro anni ho aperto un’azienda agricola che si occupa di frutti di bosco e piante ornamentali da vivaio – racconta –. Un progetto che ho avviato con l’università di Firenze grazie a un bando ministeriale per la coltivazione della fragolina di bosco selvatica. Mi stuzzicava l’idea di unire l’agricoltura classica a quella industriale». Ma Fabio non si è fermato lì perché «ho pensato che il nuovo boom negli acquisti dei prodotti biologici corrispondeva a una maggiore richiesta di genuinità da parte dei clienti. E cosa c’è di meglio, da questo punto di vista, di potersi gestire un proprio orto? Gli spazi oggi sono quello che sono e io mi sono inventato il modo di coltivare zucchine e pomodori nei terrazzi dei condomini». Inutile dire che il progetto di Fabio sta riscuotendo un successo enorme, anche nelle scuole.

E poi c’è Sergio Gulinelli, classe ’82 di Ferrara. Papà meccanico, mamma infermiera, Sergio è allievo modello e si dedica con dedizione agli studi di Economia e commercio. Poi comincia a lavorare in un’azienda del terzo settore. «Guadagnavo bene, ma non ero soddisfatto. Nel 2007, con i soldi che ero riuscito a mettere da parte, ho preso un terreno non troppo grande perché ho capito che l’agricoltura era la mia strada. Alle spalle avevo la necessità di gestire, di fare qualcosa di un’utilità immediata». Il nonno di Sergio faceva il contadino, «ma allora era tutta un’altra storia – continua Sergio –. La campagna aveva delle regole precise che non potevano essere sovvertite per nessuna ragione al mondo. Oggi l’inventiva e l’elasticità premiano. Per questo va avanti chi davvero ha delle carte da giocarsi. Non a caso, quelli che hanno fatto la mia stessa scelta sono quasi tutti laureati».

E, a proposito di creatività, c’è chi ha rispolverato mestieri che si pensava non esistessero più. Daniele Mandarello, ventinovenne del Lazio, si guadagna da vivere con l’arte della potatura. Tagliando rami secchi e aggiustando siepi e arbusti si è mantenuto durante gli studi, affinando la tecnica, e ora è un vero professionista. «Non cambierei il mio mestiere per nulla al mondo – dice convinto -. Vivo a stretto contatto con la natura, e già questo migliora incredibilmente il tenore di vita. Sono riuscito a coniugare la mia passione per l’arte e la bellezza con il lavoro che faccio tutti i giorni e non potrei essere più soddisfatto». E interrogato sullo stato di precarietà lavorativa in cui vivono tanti suoi coetanei, risponde. «La mancanza di lavoro è un dato reale e drammatico. Capisco bene che la depressione può avere la meglio. Ma io consiglio di spremersi le meningi e di mettersi in gioco anche su settori che non si erano mai presi in considerazione. Con me ha funzionato».

Fonte Avvenire

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