Arazzi e Tappeti: la Scuola del Maestro Mimmo Caruso

Arazzi e Tappeti del Maestro Caruso di San Giovanni in Fiore

Una delle più belle sorprese che la Redazione di Italia Excelsa Store possa fare ai navigatori appassionati di Antiche Tradizioni della tessitura al Telaio è quella di potere affermare che questa Tradizione è ancora viva e vegeta.
Certo non sono in tanti, anzi,  ma tra coloro i quali resistono alle imitazioni c’è la Scuola Tappeti Caruso di San Giovanni in Fiore, la cittadina silana che evoca le gesta del Divin Profeta Gioacchino da Fiore.
Il Mestro Mimmo Caruso opera da sempre nel cuore di un paesaggio incantato che sembra sospendere il tempo tra laghi e fitti boschi.
Qui  è possibile ammirare gli “ozaturi a pizzulune” e le tipiche coperte “trappigne”; la “n’cùllerata”, sfilato tipico, che ornava la scollatura del “rituortu” (antico costume delle donne sangiovannesi) ed ancora intramontabili arazzi, i servizi da tavola e gli asciugamani, che rievocano la Magna Grecia; scialli, stuoie, tende e tessuti d’arredamento.

Nell’atelier è presente un sorprendente assortimento di tappeti dal gusto classico o contemporaneo.
Grazie all’esperienza, che si tramanda da generazioni, si tessono anche le “idee” più stravaganti; sui pezzi in pura seta si annodano fino a 4.300 nodi al cm².

Questo ha reso la Scuola Tappeti un punto di riferimento per artisti ed architetti, che possono veder riprodotti i loro disegni con grande fedeltà, Per la tessitura si utilizzano fibre naturali, quali: ginestra, seta, lino cotone e lana.
Nella bottega è possibile assistere alla lavorazione, acquisire dati tecnici ed apprendere riferimenti socio-culturali e religiosi.
Infine se necessario si lavano e restaurano i vostri tappeti pregiati che su richiesta un incaricato ritira e riconsegna su tutto il territorio nazionale.

Un discorso a parte va fatto per quelle che possono essere considerate delle vere e proprie opere d’arte.
È il caso degli arazzi dedicati all’abate Gioacchino da Fiore. Il primo, annodato con purissima seta è oggi esposto nella sala di rappresentanza della provincia di Cosenza. Questo autentico capolavoro ha richiesto un anno mezzo di annodatura per ottenere un risultato pressoché fotografico di una delle tavole del Liber Figurarum, la più bella opera di teologia figurale del Medioevo.
Il critico Adriano Villata lo ha valutato 60 mila euro.
Il secondo arazzo raffigura i cerchi trinitari ed è stato donato nel 2003 al Papa Giovanni Paolo II e oggi è esposto nei Musei Vaticani. Gli altri due arazzi d’ispirazione gioachimita si trovano nell’abbazia forense e nel duomo di Cosenza.
Ginestra, seta, lino, cotone, e lana, sono i filati utilizzati per la produzione di tessuti e arazzi, la base naturale sulla quale prendono forma motivi ispirati dalla natura circostante, dai classici dell’arte o da motivi di gusto contemporaneo che il Maestro Caruso crea circondato dalla sua equipe.
Per poi tesserli su telai manuali o Jacquard. Di particolare rilievo il tessuto realizzato nel 1999 da Domenico Caruso, portando a termine un’impresa che non ha eguali a livello nazionale.
Si tratta di un tessuto in fibre metalliche nobili (oro o argento), lavorati utilizzando un telaio particolare, frutto dell’ingegno del maestro e del padre Salvatore.
Il telaio da loro creato permette di superare la difficoltà principale derivante dalla mancata elasticità delle fibre metalliche.
L’innovativo tessuto fatto a San Giovanni in Fiore è stato poi utilizzato per forgiare borse tempestate di pietre preziose esportate fino in medio oriente, culla della tessitura mondiale.

Le tecniche di produzione

La caratteristica peculiare dei tappeti pregiati è determinata dall’annodatura a mano.

ANNODATURA DEL TAPPETO: Il tappeto è composto da tre parti: l’ordito, il vello e il reps. L’ordito è costituito dall’’insieme dei fili, di solito in cotone, paralleli tra loro e disposti verticalmente fra i due subbi del telaio. Il vello è la superficie visibile del tappeto; esso è formato da fili generalmente in lana, annodati sull’ordito. I nodi sono allineati in righe nel senso della larghezza del tappeto (da cimossa a cimossa). Il reps o trama di base consiste in uno o più fili, di solito in cotone disposti tra una riga di nodi e l’altra. I filati utilizzati generalmente nell’annodatura sono tre: lana, seta e cotone. Il cotone, invece, è utilizzato esclusivamente per i fili dell’ordito e del reps. Nei tappeti antichi i fili dell’ordito e della trama erano comunemente in lana. Nella produzione attuale, l’ordito e il reps sono in cotone o seta. I telai utilizzati si suddividono fondamentalmente in due tipi: l’orizzontale e il verticale. Il telaio orizzontale è composto semplicemente da due assi di legno, tra essi sono tesi longitudinalmente i fili dell’ordito. Durante la lavorazione i fili dell’ordito sono tenuti in tensione tra le assi mediante due verghe, legate alle estremità d’ogni asse, e piantati nel suolo. Il telaio verticale è costituito da due assi parallele sorrette da altrettanti supporti verticali. I fili dell’ordito si tendono fra le due assi e l’annodatura del tappeto parte sempre dal basso. Gli artigiani lavorano seduti, man mano che il tappeto procede, il lavoro si alza di piolo in piolo per consentire all’artigiano di trovarsi sempre all’altezza del manufatto. Su questo tipo di telaio solitamente si annodano i tappeti lunghi massimo tre metri. Si possono ottenere tappeti più lunghi avvolgendo il lavoro eseguito sull’asse inferiore e tendendo una seconda volta i fili dell’ordito fissati in precedenza sull’asse superiore. Gli attrezzi utilizzati nella lavorazione dei tappeti sono: il coltello, il pettine e le forbici. Il coltello si adopera per tagliare i fili del nodo, il pettine si usa per serrare il filo o i fili di trama che costituiscono il reps, le forbici servono a rasare il vello del tappeto. Il tappeto si realizza comunemente seguendo un progetto preparato da artisti, che creano il disegno su un cartone millimetrato nel quale ogni quadretto corrisponde ad un nodo. Il cartone si pone sul telaio davanti agli occhi del tessitore. I nodi utilizzati sono generalmente due: il ghiordes e il Sehna. Il ghiordes o nodo turco è utilizzato in prevalenza per realizzare motivi geometrici, Il sehna o nodo persiano per i motivi curvilinei. L’annodatura incomincia sempre dal basso. Sui fili dell’ordito tesi verticalmente, si passa un certo numero di fili di trama in modo da creare una base solida pronta a fornire un buon appoggio per i primi nodi. S’inizia quindi l’annodatura, ogni fiocco di lana è fissato su due o più fili contigui d’ordito. È evidente che il costo di un tappeto dipende dal tempo impiegato per annodarlo e quindi dal numero di nodi che contiene. L’annodatura deve essere eseguita da artigiani molto allenati. In media un buon tessitore esegue da diecimila ad un massimo di quattordicimila nodi al giorno. Un lavoro immane, basti pensare che per realizzare un tappeto di sei metri quadri con 2500 nodi per dm² occorrono, al ritmo di diecimila nodi al giorno, non meno di cinque mesi lavorativi ma solo pochissimi annodatori riescono a mantenere questi ritmi.
LE STUOIE: I sumak appartengono alla categoria dei tappeti “lisci” o “piatti” la parola sumak, indica un tipo di tessitura a trame avvolgenti, e deriva dalla città di Soumac situata nel sud del Caucaso. La tecnica: il tessitore, avvolge il filo colorato della trama sino a prendere quattro fili d’ordito sul lato anteriore del tappeto, facendolo poi tornare indietro di due fili sul rovescio, quindi ne avvolge ancora quattro, torna indietro di due, e così via (oltre che 4/2 il rapporto tra avvolgimento frontale e posteriore può essere anche diverso: ad esempio 3/1, oppure 2/4. Questo procedimento può essere effettuato, con filati di vari colori, per tutta la larghezza del tappeto; il “ritorno” di questa trama può essere effettuato sia mantenendo la stessa inclinazione che variandola: così facendo si ottiene un effetto a lisca di pesce. In alcuni sumak, inoltre, tra un “avvolgimento” e quello successivo si effettua un passaggio di trama semplice (una volta sopra ed una sotto l’ordito da un estremo all’altro del tappeto) per stabilizzarne la struttura. Sia l’ordito che la trama di rinforzo strutturale, comunque, restano coperti dalle trame avvolgenti che determinano il disegno del sumak. I kilim come i sumak possono essere definiti tappeti lisci o a tessitura piatta perché, a differenza dei tappeti annodati, non presentano “vello” la loro realizzazione non avviene mediante annodatura bensì tramite tessitura. Nella tecnica kilim il disegno è costituito dai fili colorati della trama, portati avanti e indietro su un solo tratto dell’ordito; in tal modo le diverse zone colorate non sono collegate fra loro e nei punti orizzontali di contatto si formano delle fessure verticali. Una caratteristica della tessitura dei kilim, rispetto ai tappeti annodati a mano, è che il tessitore termina ogni zona di colore prima di passare ad un’altra parte del tappeto. La tecnica di lavorazione è simile a quella del ricamo, poiché i fili delle trame sono avvolti attorno a quelli della catena con un ago: il lavoro si ripete esattamente sia sul davanti che sul retro, seguendo il disegno geometrico della decorazione, di modo che le due facce del tappeto sono perfettamente identiche.

I TESSUTI: molto utilizzata da sempre nella tessitura silana la tecnica dello spolinato per realizzare copriletto e tessuti per l’arredamento. Lo spolinato si esegue utilizzando degli spolini. Ogni colore necessario per la decorazione del tessuto si avvolge su uno spolino diverso, il filo del motivo s’inserisce nello stesso passo della trama di base, la spolinatura si esegue dopo uno o più passaggi di trama. Gli spolini si lasciano solitamente sul dritto del tessuto e si lasciano cadere durante i passaggi del disegno. Con questa tecnica da secoli si realizzano copriletto incantevoli con motivi che risalgono sino all’età neolitica. Altra tecnica molto utilizzata è la tessitura a pizzicotto o “spugna” si esegue tirando con un uncino la trama nei punti interessati dal disegno oppure avvolgendo su uno spessore simile ad un ferro da maglieria la trama in corrispondenza della decorazione, quindi s’introduce una seconda trama o “reps” successivamente si batte il pettine con forza e si sfila il ferro. Le battute di reps tra una passata di pizzicotto e l’altra variano secondo la finezza del tessuto. Spesso si esegue il pizzicotto alternando ad una trama sottile di reps usata per il fondo una trama più spessa utilizzata per la decorazione a rilievo. La tecnica si esegue su armatura tela o saia. Questa tecnica è stata portata in Calabria dai greci ed ebbe grande diffusione in tutta l’area della Magna Grecia assumendo diverse denominazioni. Oggi la tecnica è molto diffusa anche in Sardegna, dove s’identifica con la denominazione di “pibiones” ma è storicamente dimostrabile che l’area di produzione originale è costituita da Sicilia, Calabria e Puglia.

Il TELAIO JACQUARD: Per la produzione di tessuti operati, ovvero tessuti con la superficie decorata, si utilizzano i telai jacquard. In realtà il prototipo di questo splendido telaio fu realizzato nella seconda metà del quattrocento da un tessitore catanzarese, conosciuto in Francia e precisamente a Lione come, Giovanni il Calabrese. Quest’abile tessitore fu ospite di Luigi XI che fece arrivare abili tessitori da Catanzaro per impiantare la manifattura tessile di Lione. Il telaio introdotto da Giovanni in Calabrese destò grandi preoccupazioni, nel mondo operaio dei tessitori francesi e fu boicottato in diverse occasioni ostacolandone la diffusione, perché si riteneva che un telaio tanto evoluto e veloce potesse causare disoccupazione nel settore tessile. Oggi un esemplare del telaio di “Jean Le Calabrais” è custodito nel museo delle arti e dei mestieri a Parigi. Il francese Joseph Marie Jacquard, studiò il telaio di Giovanni il Calabrese e perfezionandolo, trovò il modo per migliorare ulteriormente la realizzazione dei tessuti operati. Così grazie alla sua determinazione agli albori dell’ottocento, brevettò la macchina tessile che da lui prese il nome. Gli ostacoli avuti da Giovanni il calabrese si ripresentarono ma la determinazione di Joseph Marie Jacquard e l’evoluzione dei tempi diedero la possibilità a J. M. Jacquard di brevettare il telaio con il suo nome. Questo telaio dopo duecento anni dalla nascita ufficiale mantiene indubbie qualità è tuttora piena efficienza. Questo tipo di telaio permette, con un solo movimento, l’alzata contemporanea di centinaia di fili con diversa evoluzione. Il telaio Jacquard a mano, presenta in alto due bancali dai quali scendono numerosi fili di lino incerato (Arcate), sistemate con un preciso ordine, in uno spazio, definito (padiglione). Ogni arcata porta attaccata in basso una maglia unita ad un peso (gugellone) che deve mantenere l’arcata e la maglia nella giusta tensione. Il telaio, tramite una catena di cartoni forati e per mezzo dei suoi organi meccanici, fa sollevare le arcate, le maglie e i relativi fili d’ordito in esse infilati, secondo le predisposizioni che daranno vita al disegno. Un pedale imperniato in basso sulla parte posteriore del telaio, permette abbassandolo col piede, di far ruotare, il “palo” del telaio, mentre sopra vi sono due pulegge collegate a mezzo di cinghie a due perni facenti parte del cappello. Il “palo”, ruotando, obbliga le pulegge ad avvolgere su se stesse le cinghie e a sollevare il cappello. Lasciando libero il pedale, il cappello ricade sul piano del telaio nella posizione di riposo. Lateralmente, sulla sinistra della macchina, c’è un prisma, a quattro facce forate, quando si solleva il cappello, Il prisma, si sposta orizzontalmente verso sinistra di un quarto di giro. I movimenti scorrevoli delle due guide che fanno parte delle fiancate del telaio sono imposti al cilindro da due cremagliere fissate ai due bracci del cappello. Le cremagliere, ad ogni alzata e abbassata del cappello, fanno muovere, un settore circolare dentato. Da un’estremità di ciascuno dei settori, partono snodati due bracci di “leva” a loro volta collegati a perni fissi nella parte alta del battente che regge il cilindro. Ad ogni alzata del cappello corrisponde un movimento dei settori circolari che, con i loro bracci di leva, fanno spostare il battente verso sinistra e, pertanto, il cilindro dalla sua posizione di riposo. Nello spostamento, un “cane” snodato, posto in alto ad un’estremità del cilindro, tramite il suo uncino, obbliga il cilindro a fare un quarto di giro verso destra. Il “cane” è coadiuvato, nella sua azione, da una molla che, comandando due Martelli appoggiati alle estremità del cilindro delle “lanterne”, gli impedisce con la sua pressione di compiere, ad ogni alzata del cappello, più del quarto di giro richiesto. Oltre al “cane” per l’avanzata del cilindro vi è anche un “cane” sottostante da comandarsi a mano tramite una cordicella che, tirata solleva il “cane” superiore e fa funzionare quello inferiore il quale, data la sua posizione, obbliga il cilindro a fare marcia indietro, cosa questa, che può essere molto comoda durante le fasi di tessitura. I due perni del cilindro, che girano dentro i supporti sostenuti dai fianchi del battente, possono essere sollevati o abbassati, per eventuali registrazioni. Per impedire che con il continuo movimento delle parti, gli arpini possano muoversi dalla loro sede e girarsi su se stessi, si piazza una griglia alla base degli arpini. La griglia è composta di tante asticciole di ferro a sezione tonda, che corrispondono al numero di file degli arpini e da due asticelle di legno che servono a sostenerle. Ogni asticciola entra in una fila d’arpini nella parte bassa e mantiene la suddetta fila in perfetto ordine. Naturalmente la griglia segue il movimento d’alzata e abbassata del cappello. Le facce del cilindro corrispondono esattamente col piano della tavoletta ad aghi. All’abbassata del pedale corrisponde, l’alzata del cappello, lo spostamento laterale verso sinistra e la contemporanea rotazione di un quarto di giro del cilindro. Al rilascio del pedale corrisponde, la caduta del cappello e la battuta contro la tavoletta ad aghi di una faccia del cilindro, che ritorna al suo posto di riposo. La tavoletta ad aghi serve a sostenere e guidare tutto il corpo degli aghi che passano, uno per uno entro altrettanti fori in essa praticati in corrispondenza dei fori delle facciate del cilindro. Ogni ago che entra nel centro di uno dei fori è appoggiato con una piccola piegatura (naso), che si trova lungo il suo corpo, ad un’asticciola verticale d’acciaio, (arpino) che ha la parte superiore piegata a gancio e la parte inferiore ripiegata su se stessa che serve da molla di ritorno. Ogni arpino si trova appoggiato con la sua estremità superiore, ad un coltello del cappello in modo che la piegatura della sua testa resta agganciata al coltello quando il cappello si alza. Gli arpini, gli aghi e i “fiori” del cilindro, sono perfettamente uniti durante il lavoro. Quando il cilindro, batte con una delle facce corredate da un cartone contro la tavoletta degli aghi, questi penetrano nei fori del cartone e nei fori del cilindro così gli arpini non spinti in dietro dai nasi degli aghi e restano con le teste sopra i coltelli, essi si sollevano insieme al cappello, coinvolgendo le relative arcate, maglie e fili di ordito in essi infilati. Nei punti in cui il cartone non è forato, gli aghi corrispondenti, spostati in dietro dal cartone pieno, spingono a loro volta, tramite i nasi e fuori dal campo di alzata dei coltelli i relativi arpini, facendoli rimanere bassi quindi la stessa sorte spetta ai fili infilati nelle maglie corrispondenti. In termini brevi, a foro sul cartone, corrisponde l’alzata del corrispondente arpino e del relativo filo d’ordito. Viceversa, a cartone pieno corrisponde il filo d’ordito basso. Questa descrizione tecnica, in breve cerca di far comprendere la complessità di un telaio che nei secoli, mantiene inalterate le sue qualità e grazie ad esso si riescono ad ottenere tessuti artistici di grande effetto.

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