I giovani e il lavoro: la sfida più difficile. Tutti i partiti rassicurano: lavoro al primo posto.

Prendete la regione più ricca d’Italia. Mettetela sotto il torchio della Crisi (con la C maiuscola). E poi, dopo cinque anni passati a tener duro e sperare di vedere la luce in fondo al tunnel, dite a tutti: «Abbiamo scherzato, niente sarà più come prima». Di più: «È arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e inventarsi qualcosa di nuovo. Perché la salita comincia adesso». Nulla è più scontato per i lombardi. E la grande sfida, oggi, è allungare la coperta del lavoro. Che poi vuol dire offrire opportunità di occupazione ai giovani senza per questo lasciare scoperti i cinquanta-sessantenni. Gente con carichi di famiglia importanti che con la riforma Fornero ha visto allungarsi all’improvviso la propria vita professionale.

EMERGENZA PRIMO IMPIEGO - Il tasso di disoccupazione in Regione veleggia verso il 7 per cento. I più penalizzati, come nel resto del Paese, sono i giovani: due under 24 su dieci oggi in Lombardia sono senza lavoro. Adesso il punto, come scrive l’Arifl, agenzia regionale per la formazione e il lavoro, in uno dei suoi ultimi rapporti, è fare in modo che un’intera generazione di ragazzi e ragazze non sia costretta a vivere a carico dei genitori.

Il problema è che un contratto come quello d’apprendistato, pensato proprio per aiutare i giovani a inserirsi, anche in Lombardia non «tira». «Non sappiamo cosa farci – allarga le braccia Marco Accornero, segretario dell’Unione artigiani di Milano -. Per molte aziende è già uno straordinario risultato tenersi i dipendenti che hanno già in carico».

FONDI PER GLI AMMORTIZZATORI - Tra le prime patate bollenti che la nuova amministrazione regionale si troverà ad affrontare c’è quella del rinnovo della cassa in deroga. Parliamo dell’assegno che viene garantito ai dipendenti delle piccole aziende rimasti senza lavoro. A oggi i fondi ci sono, ma soltanto fino a giugno. Poi è tutto da vedere. Stime sindacali parlano di almeno cento milioni di euro che mancano all’appello.
In generale, la cassa integrazione in Regione pesa in modo rilevante soprattutto nei territori sorretti dalla manifattura. Secondo i calcoli della Cgil regionale, se si considerano insieme cassa in deroga, ordinaria e straordinaria, l’ammortizzatore viene incassato da oltre il 7 per cento dei lavoratori dipendenti delle province di Lecco e Varese, dal 6 per cento a Brescia e Como, dal 5 per cento a Bergamo. «L’unica risposta alla crisi non può essere la cassa integrazione. Bisogna andare oltre, con politiche industriali in grado di creare nuovi posti», ripete da tempo Gigi Petteni, segretario generale della Cisl regionale. I candidati al Pirellone sembrano aver preso alla lettera l’appello. Almeno a parole. «Creeremo 300 mila posti di lavoro», assicura Ambrosoli. «No, 350 mila», ribatte Albertini nel suo programma. Certo per creare nuovo impiego servono buone idee, visione strategica e risorse da investire.

POSTI (MA DI QUALITA’) - «Chiunque governerà la Regione dovrà confrontarsi con il fatto che i pochi posti di lavoro che si sono creati in Lombardia negli ultimi tre anni sono a livello di qualificazione medio-bassa – fa notare Fulvia Colombini, della segreteria della Cgil regionale -. È come costringere i nostri figli, diplomati e laureati, a rinunciare alle competenze che hanno acquisito con lo studio». Nell’attesa che qualcuno si inventi la ricetta magica per la creazione di nuovi posti, il nuovo presidente della Regione potrà molto concretamente cimentarsi con la ritaratura di tutto il sistema della formazione di competenza regionale. «A oggi l’impressione è che i corsi scelti da tanti senza lavoro per ricollocarsi tramite il sistema delle doti siano utili, sì, ma non in grado di dare la svolta a un percorso professionale», sottolinea Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro alla Bocconi. Detto in modo più diretto: troppo spesso accade che un cassintegrato in deroga, obbligato dalla normativa attuale a seguire un corso di formazione, si iscriva a lezioni purché sia, giusto per assolvere l’obbligo. Le ore di informatica, inglese ed estetica si sprecano. Ma poi serviranno davvero a trovare un posto? «A quanto ci risulta, le doti lavoro portano alla ricollocazione nell’otto per cento dei casi – fa il punto Fulvia Colombini della segreteria Cgil regionale -. Sia chiaro, bisogna tenere conto che il momento è difficile. Ma a nostro parere il sistema può e deve essere migliorato».

IL CANCRO DELLA CORRUZIONE - Nei prossimi mesi, se il nuovo governo riprenderà la strada dell’abolizione delle Province, nell’agenda della Regione potrebbe esserci anche il riordino dei servizi per l’impiego. Il collocamento, per intenderci. «Ormai il pubblico si limita a registrare le comunicazioni obbligatorie, un maggiore coordinamento con le agenzie per il lavoro private sarebbe vantaggioso per tutti», auspica Del Conte della Bocconi. Che aggiunge: «Un’altra idea importante su cui ragionare è quella di un’unità di crisi per orientare, caso per caso, gli interventi rispetto alle principali crisi aziendali del territorio». Certo è che a questo punto della crisi una visione strategica rispetto al futuro dei distretti è fondamentale. Sullo sfondo – ultima ma estremamente importante – la questione della corruzione e delle infiltrazioni nelle aziende da parte della criminalità organizzata. «L’impressione – conclude Del Conte – è che in molti ambiti si parli di una vera e propria presa di possesso. Il rischio è che questo cancro indebolisca le nostre imprese. Fino a renderci sempre meno competitivi sui mercati».

Fonte Corriere di Rita Querzé

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