La Cina ha fame: la sua crescita economica le procura appetito

Il Dragone cinese che imperversa sul mercato e sull'economia italiana

La Cina ha fame. Una fame che inizia a diventare convulsa a causa della sua crescita economica in ascesa perpendicolare in un paese che pagherà presto le conseguenze dell’espansione finanziaria con una grande carestia programmata, questa volta, dai paesi succubi del suo potere. Appena la politica dei Governi ad essi sottomessi per questioni di debito si accorgeranno di del valore della loro “terra”, allora inizieremo a vedere il nuovo volto di questo mondo ove l’equilibrio tra chi è ricco di danaro e chi è ricco di cibo salutare, alimenti in genere e acqua, sarà sempre più perfetto.

LA NAZIONI FERTILI VINCERANNO LA BATTAGLIA SULLE POTENZE ECONOMICHE
La battaglia del futuro sarà combattuta con i prodotti della terra e sulle terre fertili e l’Italia, se organizzata da una strategia capace di trasformare la terra e i suoi prodotti in oro, è candidata a vincere la guerra e a diventare ricca e rispettata per i prossimi 500 anni. Il problema serio è che l’attuale crisi finanziaria e un sistema finanziario completamente sbagliato ha indotto i grandi a vedere per “soldi” le migliori industrie di settore. L’Italia non è un Paese lungimirante. E’ ricco di idee che vengono riconosciute dalla politica italiana solo quando esse hanno varcato i confini. E’ dunque questo il momento in cui l’economia italiana del settore Agricolo deve compiere uno sforzo “di bandiera” per tutti possano proteggere le terre con leggi specifiche. Il problema in Italia non è la contraffazione dei prodotti italiani che ha generato un mercato di 80 Miliardi di euro in un solo anno. Il vero problema è che non esiste un mercato riconoscibile come Italia 100%.

IL PENSIERO IN MERITO DELL’OSSERVATORE ROMANO
Da Osservatore Romano – Con oltre un miliardo di abitanti, la Cina cerca nuove soluzioni in campo agricolo. Siccità, ghiacciate e inquinamento stanno erodendo i terreni disponibili, mentre la richiesta cresce inesorabile. Per questo il Dragone si afferma oggi come il nuovo attore protagonista dei mercati agricoli internazionali.

Grazie a un incremento del consumo dei fertilizzanti, Pechino è riuscita finora a migliorare nettamente la produttività dei terreni. Ciò nonostante, l’inquinamento e l’avanzamento della deforestazione sta facendo diminuire progressivamente le aree adatte alla coltivazione. A ciò si aggiungono le difficoltà nella gestione delle risorse idriche.

La strategia più gettonata è quella di cercare al di fuori della Cina terreni utili: gli imprenditori e i dirigenti hanno così lanciato una autentica «corsa alla terra» in Australia, in Nuova Zelanda, nelle Filippine. Per non parlare dell’Africa, ovviamente. L’anno scorso, per esempio, Pechino ha compiuto sostanziose importazioni di grano australiano per l’alimentazione animale. «La Cina è un Paese importante, il cui minimo intervento sulla scena internazionale fa smuovere le cose e questo ruolo dovrebbe rafforzarsi negli anni a venire» spiega Benoît Labouille, analista di Offre et Demande Agricole (ODA).

Basti pensare soltanto al fatto che dal 2004 le importazioni cinesi di soia sono triplicate, fino a raggiungere il sessanta per cento degli scambi mondiali. Un dato interessante, anche perché dimostra come Pechino sia stata costretta a fare breccia nella propria politica di autonomia. «Siamo alla fine di un modello, assistiamo a una rottura, come dimostra chiaramente il recente accordo con l’Argentina» ha commentato Joséphine Hicter, analista nel campo delle materie prime per la Oaks Fields Partners.

In effetti, mercoledì scorso Pechino e Buenos Aires hanno stretto un’intesa per l’esportazione di mais argentino. Fino all’anno scorso, la Cina — secondo produttore mondiale di mais dietro gli Stati Uniti — non considerava minimamente l’ipotesi di esportare il cereale. Che cosa è accaduto?

Molti esperti puntano il dito sull’aumento del consumo di carni. «Poiché — spiega Hicter — occorrono sette proteine vegetali per produrre una sola proteina animale, la moltiplicazione delle mandrie comporta necessariamente un incremento della produzione di mais». La situazione del grano è meno grave di quella del mais. La Cina dispone infatti di sessanta milioni di tonnellate di riserve strategiche, cifra equivalente alla metà della sua produzione annuale e al trenta per cento delle riserve mondiali.

Di recente il Governo cinese ha approvato un documento sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti agricoli. Pur descrivendo prospettive positive, il testo ha sottolineato la necessità di un maggior impegno scientifico nel settore per rafforzare le capacità del sistema. L’urbanizzazione rischia infatti di sottrarre risorse agli agricoltori. Il riscaldamento globale potrebbe fare il resto.

Comments are closed.