Sfidano crisi e incertezza ma il Paese non li aiuta

Sfidano crisi e incertezza ma il Paese non li aiuta
«Chi fonda un’impresa a vent’anni accetta di affrontare un’incertezza promettente e non un’incertezza frustrante. Affacciarsi sul mondo del lavoro in questo momento è difficile, diventando imprenditore corri un rischio, ma un rischio potenzialmente positivo, dimostri di reagire all’instabilità generale del sistema». Giovanni Iozzia è direttore di Economyup, webmagazine specializzato in nuove imprese e innovazione.

Che caratteristiche hanno i giovani imprenditori digitali italiani?
«Sono italiani, appunto. Vivono in un Paese che dopo le glorie degli anni successivi alla guerra ha un po’ dimenticato l’energia dei fondatori di imprese. Siamo diventati un Paese di dipendenti pubblici. Solo adesso la crisi ha riattivato la spinta imprenditoriale».

E che situazione si trovano di fronte?
«L’Italia non è certo aperta ai nuovi imprenditori. Le grandi aziende li snobbano, non si rendono conto della possibilità di innovazione che nascono dalle startup. Per le nuove aziende non c’è un mercato. Il gigante dei grandi magazzini Usa Walmart ha appena comprato per 3 miliardi una startup del settore, Jet. In Italia non sarebbe possibile».

E i limiti dei giovani imprenditori quali sono?
«A volte sono poco internazionali, nel senso che si limitano a riprendere modelli realizzati all’estero. E il loro obiettivo massimo è crescere sul mercato italiano. Sono pochissimi i casi di nuove imprese digitali nate in Italia con l’obiettivo di imporre un modello di business a livello globale. E poi non fanno abbastanza leva sule eccellenze della Penisola».

E cioè?
«Quanti possono essere gli investitori internazionali interessati a mettere soldi su una piccola startup italiana? Pochi. Ma se questa startup si occupasse di quello che l’Italia sa fare, moda, food, meccanica, medicale avanzato, l’interesse aumenterebbe in maniera esponenziale. Solo che è difficile. Per l’app di un videogioco ci vogliono pochi investimenti. Entrare nel mondo dell’economia reale è più complesso, richiede competenze incrociate, forse è persino meno premiante in termini di immagine».

Fonte Il Giornale.it

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